Lui & Lei
prime esperienze3

20.02.2016 |
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"Munita di un lampostil di circa un centimetro di diametro provai delicatamente a infilarmelo..."
Lei ansimò e io respirai affannosamente. Esordì con. + Ora me lo daresti un contentino?+ - Ma certo, cosa preferisci?- + Fai tu. + -Vuoi che usi ancora il cetriolo- + No! Ormai è freddo. + Io, non avevo altro che le mani e la bocca, per cui, per la seconda volta, mi diedi da fare. La stesi supina e mi intrapresi partendo dai capezzoli: li morsicai, lei gemette. Disposi di due dita e glie le infilai, poi lentamente iniziai quel movimento ritmico antico come il mondo. + Più forte, più in fondo + Mi misi comoda, spinsi le dita ma più di tanto non entravano, avevo l’indice e il mignolo che messe di traverso ostacolavano la salita. Le unii tutte e quattro in un unico gruppo. Mi ripresi e premetti il mazzetto moderatamente che si fece strada tra le sue grandi labbra la quali si aprirono come due tende e la vagina si allargò sempre di più sollecitata dalla mia forte e stazionaria compressione. Ogni tanto indugiavo nella convinzione di sentirmi dire... fermati!, o... mi fai male, ma non avvenne. Dopo un mio tentennamento mi sentii aizzare: spingi! ... Spingi! Muoviti!C’era una tara dentro di lei che faceva confondere nella sua mente piacere e sofferenza. La cosa non mi dispiaceva perché la sua eccitazione mi faceva fremere dentro. A quel punto unii anche il pollice e senza più esitazioni premetti mantenendo una pressione costante, limitandomi a piccoli movimenti rotatori. Dolcemente, percepivo la mano salire dentro di lei, millimetro dopo millimetro fino a quando affogò al suo interno. Le faceva male perché avevo appreso che il dolore le rendeva il respiro affrettato, ansimava a bocca aperta e le si coprivano le guance di pomelli rossi. Anch’io avevo affrettato il respiro e mi batteva forte il cuore. La sentivo fremere e tendersi sotto di me, la sua vagina palpitava, sembrava risucchiarmela, poi si contrasse del tutto come un unico nervo, sentii le pareti della vagina pulsare accompagnate dai suoi lamentosi mugolii: era venuta per la seconda volta! Attesi che si riprendesse e con la mia mano ancora dentro di lei le chiesi -Ti fa male?- + Si! Ma avrò la mia vendetta quando sarai tu a soffrire! + Al che restai muta! Con apprensione, cautamente ritrassi la mano. Per mera curiosità volli prendere cognizione di una realtà che non credevo possibile. Le guardai la prugna oculatamente ma la breccia si era richiusa e non scorsi alcuna traccia del mio andirivieni. Un bacetto vorace e le statue si mossero. Me ne tornai a casa incasinata, esterrefatta per quanto avevo appreso sia per tempi sia per i modi sconvolgenti in cui ne ero venuta a conoscenza. Ora, avevo un nuovo problema da risolvere, e bello grosso per giunta.
Ormai mi ero erudita su tutte le varianti che riguardavano le relazioni tra uomo e donna: mi mancava solo l’essenziale e definitiva conoscenza per mezzo della pratica. L’esperienza sarebbe stata una cosa preziosa, solo lei mi avrebbe permesso di riconoscere gli errori e evitare in seguito di ripeterli. Se non avessi tentato non l’avrei mai capito e stavo facendo tutti i passi necessari. Stavo commettendo un errore?
Ancora una volta, più di ogni qualsiasi altra volta ero incerta. Non riuscivo a prendere una decisione. Sapevo che avrei dovuto farlo perché mi avrebbe aperto tutte le porte, ma non ero sicura del successo: che quella strada fosse quella giusta. Di sicuro non mi avrebbe portata da nessuna parte, in più ci sarebbe stato un accise da pagare: la prima volta! Un trauma che mi ossessionava, una paura viscerale che mi perseguitava. Per quanto cercassi di convincermi che fosse un evento naturale e tutte le donne l’avessero fatto senza conseguenze, io non riuscivo a persuadermi. Autonomamente non avrei mai accettato di farlo, sarebbe stato come tagliarmi volontariamente una mano. Provavo un senso di paura che non riuscivo a capire completamente. Come sempre rimandai la decisione, l’incertezza, l’insicurezza, l’esitazione, l’imbarazzo, le perplessità avevano sempre la meglio su di me, sulla mia recondita timidezza.
L’emotività è sempre stata la vera nemica della mia vita. Solo dopo essermi inserita in un ambiente e esserne stata accettata, solo dopo essermi affiatata in una comitiva potevo emergere e manifestare le mie doti per poi, in seguito, primeggiare. Entrare in una gelateria in un luogo forestiero e chiedere un gelato poteva essere un evento insormontabile. Avrei inibito il desiderio piuttosto che cementarmi. Una volta mi feci la pipì addosso per l’imbarazzo di chiedere un bagno. Quasi sempre nella mia vita la buona sorte, la dea fortuna o una mano benevola che a mia insaputa e a me ignara mi ha forzatamente guidata nella direzione che poi, nel tempo, si verificò quella esatta. Se avessi seguito le mie scelte sarebbe stata una immane catastrofe. Con Dxxx, avevamo architettato quel piano diabolico con l’intelligenza di un vegetale, quella che la nostra giovane e immatura età ci poteva suggerire. Non ci rendevamo conto che stavamo scherzato col fuoco il cui gioco delle fiamme era spesso imprevedibile. Non avevo ancora imparato che in quella dolorosa lotta per entrare nell’età adulta tutto quello che avrei fatto avrebbe avuto delle conseguenze.
E, come prima inevitabile ripercussione avrei perso un gioiello che non avrei potuto perdere due volte: ma cosa me ne facevo poi dell’illibatezza? Avevo una chicca che poteva darmi un estremo piacere: perché non trastullarmi? Avrei sofferto un po’, ma poi mi sarei trovata un varco aperto e deliziosamente percorribile. Non avrei avuto più ostacoli o impedimenti di sorta. Fin troppo bene mi raffiguravo la scena di lei, Dxxx che si contorceva quando lui l’aveva centrata nella sua prugna ormai maturata con il suo terribile pungiglione, quando lei disperatamente gli gridava di fermarsi, che si lamentava dal piacere e dal sodale dolore. Il quadro era così vivido nella mia mente che non riuscivo più a controllarmi. Ogni cellula del mio corpo diventavano di pietra, e il cervello si contraeva dalla paura scorgendo il sangue scenderle dalle
cosce e colarle fino alle ginocchia. Provavo un vero deliquio di terrore fino a sentirmi male: mi sentivo sull’orlo del collasso, ma poi la scena si sbiadiva nella mia mente malleabile e mi convincevo che, a conti fatti, si era ripresa presto e quella ferita si era magnificamente cicatrizzata. Una decisione mi resi conto di averla presa,volevo assolutamente provare la sue stesse emozioni, mi sarei sottoposta a qualunque sacrificio pur di essere alla sua pari. Decisione che contato fino a trenta l’avrei certamente rinnegata. Alla fine decisi di andare all’appuntamento, non potevo rinunciare di vederla mentre si prodigava. Poi, nel momento estremo, come sempre, sarei rimasta impotente nella scelta di ogni tipo di decisione e mi sarei affidata ai fattori gettando me stessa nei tentacoli dell’influsso degli eventi. Così, in una curva sinusoidale di pensieri e emozioni arrivò il penultimo giorno, andai da lei per aggiornarmi su gli ultimi espedienti da lei elaborati e su i definitivi machiavellici accordi. Tutto era stabilito e programmato nei minimi dettagli, come nel colpo del secolo. Mi provai persino gli indumenti che avrei dovuto indossare: ero ansiosa e agitata.
La tagliola stava per azionarsi con i suoi denti aculei: ma percepivo un dubbioso velo su chi sarebbe stata la preda. E venne l’alba del giorno fatale tanto programmato. Mi svegliai di sobbalzo nella luce di una giornata di fine estate, e seppi che quel giorno avevo qualcosa da fare. Ma in un primo momento, con la mente ancora intrisa di sonno, non riuscii a ricordarmi di che si trattava. Poi emisi un piccolo rantolo e mi ritornò alla mente, vivido come una pittura a smalto. Sarebbe germogliato quel seme in cui avevo dato il mio contributo da cospiratrice alla sua semina. Ma dentro di me quell’idea mi faceva male, temevo per gli eventuali e imprevedibili strascichi. Provai subito una intensa agitazione, la sentivo dentro come una specie di dolore. Ma poi a poco a poco la morsa dell’angoscia cessò, non avevo nessun obbligo e per di
più mi ero preservata una scappatoia. Io non avevo progettato niente, non ero colpevole di nessuna tranello, gli ingannevoli dei della terra o una dea protettrice avevano messa in opera la magia, e tutto quello che dovevo fare era seguire ciecamente ovunque mi stessero conducendo. Qualcosa al di sopra della mia volontà mi aveva instradata e mi stava aspettando in quella stanza. Sapevo che era inutile tormentarsi per i retroscena prima che avvenisse la scena, le modalità in cui immaginavo un evento era sempre diverso da come avveniva il fatto vero e proprio. Eppure, solo verso mezzogiorno mi rincuorai.
Verso le ore quattordici di quel pomeriggio indossai una maglietta nera e un paio di pantaloncini corti e presa la bici mi avviai. Arrivata a casa di Dxxx, mi accolse con un sorriso caldo come un giorno d’estate.
Da lei, non trapelava nessuna agitazione. Sua mamma stava partendo per il lavoro e noi andammo su nella sua stanza. Appena senti l’auto partire lei ridiscese e disattivò il campanello di casa. Quando il cugino fosse arrivato il din don non doveva funzionare. Con questo stratagemma, lei, avrebbe potuto giustificare la mia presenza improvvisa e inopportuna nelle sua stanza. Io avrei dovuto andare da lei il mattino per restituirle dei libri, ma non potendo, senza comunicarglielo ci sono andata il pomeriggio, ma siccome il campanello non funzionava e lei per questo motivo mi aveva fornito le chiavi, io sono entrata tranquillamente in casa e non trovando nessuno... atteso qualche attimo... sentendo dei rumori “strani...” allarmata... mi sono precipitata in quella direzione “scoprendoli“ in quel fremente... privato... labirinto di piacere, che alla mia apparizione divenne per loro di terrore. Con questo espediente lei avrebbe potuto discolparsi.
Mi spogliò di quanto avevo addosso, una pausa sul wc... una veloce doccia. Mi fece indossare una sua camicetta lasciandola aperta sul davanti, mi infilò un paio di mutandine molto succinte che, hai suoi bordi fuoriusciva una folta peluria. E per ultimo una minigonna molto simile a quella che aveva quella notte quando lui la prese sul sedile dell’auto della madre. In quella stagione portavo capelli lunghi e lei me li acconciò facendomi due code di cavallo, concluse con una leggera incipriatina, qualche spruzzata di deodorante nei punti strategici ed ero pronta. Mi guardai allo specchio, mi vidi come una fanciulla dall’aspetto virginale, praticamente intatta, le mie guancia si erano ricoperte di un delizioso rossore. Nessun maschio avrebbe potuto resistermi. Mi guardò e mi disse + Sarai un buon bocconcino prelibato, ma ormai ci siamo, tra poco dovrebbe arrivare, devo andare sulla soglia a riceverlo, il perché lo conosci.+ Imperiosa continuò. + Mettiti bene in mente che se entrerai, per te non ci sarà nessun aiuto possibile. + Avevo recepito. Qualunque fosse stato il prezzo da pagare io avrei dovuto dire di sì. Le ginocchia si fletterono. Così accinta, col cuore gonfio, stremata da giorni di ansia e attesa, mi ritirai nella stanza dei suoi genitori e li attesi il susseguirsi degli eventi. Da quel momento sarei stata assolutamente sola, e da sola avrei dovuto decidere. Avrei pianto l’anima mia. Ero spaventata a morte, tremavo da capo a piedi, avrei voluto fuggire ma anche restare, avrei voluto andarmene per poi tornare. Se tutto fosse andato come progettato, un uomo che non avevo mai visto, che non conoscevo, sarebbe stato il distruttore della mia verginità. Mi vennero i brividi al pensiero. Inspirai aria fresca ma poi mi dissi: non è quello che vuoi? Il sangue mi salì alle guance, eppure ormai, non mi ritenevo più un bambina che si potesse spaventare con il babau. Non era reticenza, non riuscivo a trovare in me la fiducia necessaria o la fissazione necessaria per farlo. Avevo bisogno di un fatto che mi spingesse ad agire. Ero pronta ma ancora impreparata. Troppe difficoltà psicologiche, troppi fattori erano ancora in sospeso, forse lui avrebbe chiuso la porta e io sarei stata esclusa dal festino. No! lei, la diavolessa, la tessitrice si sarebbe definita claustrofobica e l’avrebbe socchiusa. Dxxx mi aveva designata a lui come agnello sacrificale e lui “ignaro” ne sarebbe stato il carnefice: lei, dal loggione la spettatrice. Ma prima lei si sarebbe offerta a lui come un succulento antipasto. Mi sentii un fantasmino con mille pensieri nella testa che aleggiava come un’anima dannata dentro a quelle quattro mura e uno di quei pensieri lo percepii come un candido e inavveduto pesciolino rosso che stava abboccando a una lunga lenza. Un bisbiglio interruppe i miei assilli, lui era arrivato e stavano salendo frettolosamente le scale. Munitami di libri, quelli ipotetici, che avrei dovuto consegnargli, col cuore in gola contai fino a trenta poi quasi senza respirare, come un’ombra mi introdussi in punta di piedi, trattenendo il respiro nell’atrio che collegava alla sua stanzetta. Vidi la porta socchiusa a metà, proprio come mi sarei aspettata che fosse, tenendo il corpo ben protetto allungai la testa quel tanto che mi permise di scorgerne l’interno. La stanza dov’erano loro due era illuminata: a lei piaceva vedere. L’illuminazione nell’atrio era ridotta allo scuro, direi buio e la possibilità di essere scoperta la considerai molto, molto improbabile. Tuttavia usai la massima accortezza. Se tutto si fosse svolto come io prevedevo, lui lo avrei visto di spalle, per cui per quello che riguardava la sicurezza potevo starmene tranquilla. La prima visione sulla quale i miei occhi si buttarono fu la figura di lui. Un ragazzo giovane dalla carnagione scura, ma al nostro confronto già maturo, aveva i capelli neri e corti. Alto più di mio fratello, aveva un corpo atletico, ben modellato, di struttura robusta, spalle quadrate e torace ampio. Si mise di profilo per cui vidi anche il viso, che non mi parve particolarmente bello. I suoi occhi restarono un enigma. Bisbigliavano, mi fu impossibile comprendere i loro discorsi, ma ben presto incominciarono i fatti. Lui la baciò sul collo e le girò tutt’attorno, un attimo dopo lei non ebbe più la maglietta e lui si divagò accarezzandole i seni ancora immaturi, giocò coi capezzoli solleticandoli coi polpastrelli, li baciò, li assaporò traendone tutto il gusto possibile. Lei emise una risatina di piacere che incoraggio lui a slacciarle i jeans. La prese per i fianchi e la posò sul letto, poi finì le tolse il resto degli indumenti intimi. Completamente nuda sembrava essere soddisfatta e radiosa mentre io mi sentivo umiliata, stupida e fuori posto. Lei si sdraiò sul letto e lui si tolse la camicetta, rimanendo a dorso nudo. Si chinò tornandola a baciare freneticamente mentre con le mani si slacciava i calzoni. Tolse dalla tasca alcune bustine e le appoggiò sul comodino, tolse i vestiti sparpagliandoli sul pavimento. Nel momento stesso in cui tornò in posizione retta mi apparve all’improvviso, come un cavallo che si impenna, il suo manganello, era effettivamente di notevoli dimensioni, più lungo di almeno cinque centimetri al confronto con quello di mio fratello. La parte più piccola del primo corrispondeva alla più grossa del secondo, e non era di forma tubolare ma a un cono dalla testa rossa e accesa come un tizzone ardente. Pensai che mio fratello era ancora giovane e dovesse crescere. Lui si avvicinò a lei e tornò a baciarla, poi scese nella conca dei suoi
seni e una mano di lui scivolò tra le gambe di lei e si mise a massaggiarla tra le cosce. + Mordi! mordimi! + la voce di Dxxx risuonò nella stanza in un paziente silenzio. Sapevo che si riferiva ai capezzoli, la mortificazione mi aggredì allo stomaco. - ma che ci potevo fare?- + Si! Stringi! Forte! Più Forte! Ah! Quanto era bello sentirla pervasa dal piacere! Sentirla gioire, lasciva, felice. Ohh, dio. Lui abbandonò
i suoi seni e si diresse più in basso, le attraverso tutto il corpo lasciandole una scia umida per finire tra le sue cosce. Lei gli strinse la testa tra di esse e gli mise una mano tra i capelli, mentre i suoi gemiti si fecero ardenti e travolgenti. Era troppo bello vedere la pulcella che si dibatteva quando i gemiti emessi a denti stretti soffocavano le sue urla di gioia, mentre lui come se fosse una preda la divorava. La sentii tubare come una tortora che cova emettendo tanti cinguettii di piacere. Lui allungò una mano e prese una bustina, salì sul letto, si mise tra le sue gambe che lei aprì alzando le ginocchia, lui rimase tra di esse e io lo vedevo, ahimè solo di spalle. Non c’era da essere un’aquila per intendere che si stava infilando il famoso profilattico. Potevo solo scorgere gli occhi di lei che impaziente lo guardava con occhi passionali e in una trepidante attesa. Il tempo sembrava non passare mai. Vidi la bustina volare sul pavimento, aveva una facciata di colore viola. Lui si adagiò su di lei, teneramente le baciò la bocca. I miei occhi, come tutto il mie essere ormai
esaurito, si posarono concupiti sulle natiche di lui scorgendone il movimento dei muscoli somigliante a quello di una belva mentre insegue la preda. La sua abilità indiscussa gli permise di testare con la punta dell’attrezzo la fessura della sua bella pesca polposa e sugosa, e, quando l’ebbe individuata diede una piccola spintarella. Lei sobbalzò come se fosse punta da una vespa, i talloni si conficcarono nel letto inarcandole il bacino, la sue mani strinsero le coperte come un rapace artiglia la sua vittima, gli occhi infuocati di lei puntarono dritti su quelli di lui ed emise un forte gemito. Rimasi stordita, come pazza ero tutta pervasa da un fuoco divorante, mi sentivo ardere come una fiamma fredda. Un’altra sferzata la concernette facendola scattare di colpo e le guance le si imporporarono, un altro gemito soffocato sgorgò dalla sua gola, gutturale, mordace. Seguì un’altra spronata e le natiche di lui si affossarono tra le sue cosce, seguirono piccoli movimenti rotatori come se volesse accertarsi che lei se lo fosse sorbito proprio tutto, fino all’ultimo millimetro. Che eccesso! In quel momento ero presa dal fuoco, mi sentii caduta in un odioso tranello di una viltà infame, la guance mi bruciavano. Lei ansimante si contorse disperatamente come fa un’anguilla messa all’asciutto. Lui cominciò a stantuffarla. Le sue natiche si alzavano e si abbassavano come un falco pescatore a un ritmo lento tenendola stretta tra i suoi artigli. Il letto scricchiolava sotto gli scossoni furiosi che lui le imprimeva, il corpo di lei dolce e fragile tremava sotto i suoi poderosi colpi. + Si! Si! Hoo. Hhoo.+ lei, delirava dallo sfrenato godimento. Vidi le sue cosce contorcersi, le sue ginocchia le arrivarono ai seni e improvvisamente i suoi piedi si misero a volare come uccelli alla ricerca di un ramo sicuro, e lo trovarono sulle reni di lui. I due corpi si erano mischiati tra loro, incastrati tra loro, uno dentro l’altro, lei, esaltata, gettò le braccia al collo di lui e l’attirò a sé, lui la baciò sul collo, sulle guance: ovunque... dappertutto... due corpi fusi che trasudavano piacere. Non vedevo che il letto sobbalzare sotto le sferzate di lui, non sentivo altro che lo strepito delle sue vergate e a giudicare dai gemiti di lei, dai suoi farneticanti singulti sembrava ormai vicina al fatidico momento del culmine del piacere. Era proprio quella specie di voluttà, di lussuria famelica che a volte mi spaventava, tuttavia lei sembrava in grado di sopportare la fame che avevano l’uno dell’altra. Ma sapevo anche che con Dxxx nulla era prevedibile. Io mi sentivo il diavolo in corpo mentre languore e attesa mi divoravano. Tra poco, quando entrambi sarebbero giunti e si sarebbero concessi una pausa, io avrei dovuto decidermi se entrare o no! E io, come sempre, ero ancora incerta sul da farsi. Una intrusione irruenta e improvvisa, oltre che improvvida in quel determinato momento la vidi come inopportuna, sarei stata per lui una minaccia che, non conoscendolo non potevo nemmeno immaginare la sua reazione. Non percepivo la giusta orbita. Sarebbe stato un azzardo, come un cuculo avrei spodestato il loro nido d’amore. “Anche se proprio amore non era.” Forse, pensai mi convenisse aspettare una
occasione più consona. Lei avrebbe potuto con uno stratagemma farmelo conoscere, io mi sarei resa ben disposta e lui, conoscendo la sua intraprendenza mi avrebbe sedotta. Il resto si sarebbe susseguito da sé. Avendo poi acquisito con lui confidenza, per lui sarei stata una conquista e per me sarebbe stato tutto più spontaneo. Era quindi stato tutto inutile? Giorni di ansia e di attesa, la preparazione, la vestitura avvenuta come se fossi stata una vittima sacrificale, la tensione spasmodica che mi stava divorando alla quale non potevo dare sollievo perché godendo avrei perso il controllo del linguaggio e avrei potuto attirare l’attenzione di lui. Avrei dovuto andarmene in silenzio e soffrire per conto mio. Invece decisi restare e quando, dopo che lui se ne fosse andato, lei mi avrebbe alleviata della febbrile eccitazione che mi possedeva e che mi induceva a restare per vedere la continuazione dell’amplesso dei due amanti. Da parte mia non pretendo di descrivere quello che sentii dentro di me durante quel scenario, ma da quei momenti furono messi in fuga tutti i timori di ciò che un uomo avrebbe potuto farmi: essi si erano trasformati in un desiderio così ardente, in una smania così irrefrenabile che l’avrei data al primo uomo che avessi incontrato o che me l’avesse chiesta. Sarei stata lieta di offrirgli quell’ornamento della mia adolescenza la cui perdita - pensai - mi convinsi- fosse un guadagno che avrei dovuto procurarmi al più presto possibile. Ma, in quel momento che, sarei stata pronta e decisa, eccitata, bagnata fino alle ginocchia indugiai, il buon senso mi suggerì di procrastinare. Le emozioni che provavo erano cosi stupefacenti che non riuscivo a sceverarle. Avrei voluto essere lei per provare ad avere dentro al mio tunnel quel pistone di carne e contemporaneamente essere lui per possedere lei e sentirla fremere sotto di me. Un’emozione che provai qualche giorno prima quando la penetrai con la mano, ma ora giudicandola dalle sue reazioni carnali e sentire i suoi disperati lamenti dovetti arguire che per lei doveva essere tutt’altra cosa, nemmeno comparabile, e, come lei mi disse “+ Mille volte meglio + “ Mentre io mi perdevo in riflessioni lui continuava a sbatterla e farla traballare sul letto, e lei sussultava come un turacciolo in un torrente in piena. Poi ad un tratto il concerto cessò. Lui si staccò da lei, si inginocchiò tra le sue gambe, infilò le braccia sotto le sue ginocchia, le alzò le gambe e se le appoggiò sulle sue spalle, aprì leggermente le sue mettendosi a cavallo di lei, proprio all’altezza del sue chiappe. Da dietro potevo vederli senza difficoltà alcuna, avrei potuto avvicinarmi a loro come un angelo custode senza essere scorta, ma naturalmente non lo feci. Potei ammirare il taglietto di lei che nonostante la soppressata ricevuta si era perfettamente richiuso. Pareva una prugna tagliata a metà e adagiata tra le sue cosce, un taglietto di pochi centimetri somigliante a una boccuccia dalle labbra serrate e ben delineata. Ancora una volta non potei evitare di confrontarla con la mia il cui taglio superava i tredici centimetri e era un miscuglio di carne increspata e frastagliata di grandi e piccole labbra. Se fossi riuscita a contorcermi fino a raggiungerla per leccarmela avrebbe fatto schifo anche a me. Tesa come una corda, immobile come un lago gelato, ogni muscolo mi faceva male e, un nuovo spettacolo stava iniziando davanti ai miei occhi. Presosi in mano il suo gioiello lo appoggiò su quel grazioso taglietto, poi lui si abbassò e la sua punta scomparve tra le labbra umide di lei. Un ulteriore spintarella e il cono scomparve fluido come una lontra si immerge nelle acque fonde. La fessura si aprì adattandosi perfettamente alla sua misura. Rabbrividii a quel’affresco oppressa da un desiderio cocente, un godimento orribile che restava insoddisfatto. Ammirai estasiata l’energia che muove il mondo, l’opera del creatore che manifesta tutta la sua grandezza.
A vedere così, a occhio direi che otto pollici belli e buoni di freccia animata, ben pronunciati da far meraviglia stavano scandagliando la sua carne senza che la pulzella ne battesse ciglio, né tribolasse impercettibilmente. Iniziò a stantuffarla in modo lento e ritmico, lo estraeva fino a vedersi la testa poi si adagiava per farlo sparire dentro alla sua tana, fino in fondo, e per essere certo che l’aveva raggiunto indugiava con pressioni e movimenti rotatori prima di risalire per un nuovo ciclo, un carosello la cui ciclicità si rinnovava con fare crescente. Il ritmo divenne affrettato, brusco, repentino e irregolare, sostenuto dal rumore provocato dal bacino di lui che sbatteva sulle cosce di lei, clap....clap.. I colpi si moltiplicarono, un frastuono che faceva eco nel silenzio sbigottito della stanza in un concerto di urla e di strilli lamentosi. La loro gioia e i loro trasporti esplosero in una gamma di Ohh...e di Ahh...Si!..Si! Ma con un tono talmente elevato da farmi preoccupare per la loro integrità. Incastrati si dibatterono fino ad emettere l’anima.
L’istante fatidico, il culmine del piacere per lui arrivò: aveva raggiunto il momento più sublime per la natura umana. Lei, l’avevo sentita strillare per tutto il tempo ma non avevo percepito nessun orgasmo, o forse lei ne aveva avuti tanti. Avevo letto che alcune donne avevano orgasmi continui.
Con lei non potevo presagire nulla: per me, in parte, quella mia amica di ventura era un mistero.
Seguì un momento di pausa; solo i loro affannosi rantoli erano udibili, poi lui abbattuto dal parossismo del piacere si abbatté come un tronco di pino disteso sopra di lei. Restarono lì inermi, fermi e a lungo.
La bellezza della scena rendeva il mio stato emotivo ancora più lacerante, il cuore mi batteva furiosamente contro lo sterno. La mia eccitazione aveva raggiunto l’acutizzazione, con i denti serrati toccavo l’eccesso della sensualità, se solo mi fossi toccata in mezzo alle gambe, come folle, incontenibilmente sarei scoppiata in un delirante orgasmo: e non me lo potevo permettere. Quella tensione mi stava dilaniando.
I due amanti arenati in un silenzio che faceva da padrone, uno sull’altra giacevano immobili, lei con le gambe aperte lui steso nel mezzo. Fu lui il primo a muoversi girandosi, lei gli fece spazio e lui si adagiò alla sua sinistra. I miei occhi si fissarono sul suo pistone piegato, il quale ancora ricoperto dal profilattico si era appoggiato sul corpo di lui e aveva la punta allungata di alcuni centimetri di un palloncino riempito di roba bianca. Lui si sedette sul letto e decise di toglierselo, lo afferrò sotto la massa bianca e se lo sfilò, gli fece un nodo a metà e lo appoggiò sul comodino, alla sua sinistra. Trovo inutile riportare quello che io provai in quel momento. Origliavo i loro bisbigli tra i quali mi parve di udire il termine “lavarlo” al ché io saettai, veloce come una freccia che scocca dal’arco, in punta di piedi corsi a nascondermi nelle stanza dei genitori di lei. Appena giunsi nei pressi del letto mi sentii venire meno, provai un terribile frastuono e le gambe cedettero. Feci appena in tempo a gettarmi sul letto quando un tonfo caldo mi invase il ventre e si diffuse su tutto il corpo. Il vellicare delle cosce nella corsa, lo sfrigolio del cavallo delle mutandine mi diedero il colpo di grazia: stavo godendo! Mi portai una mano alla bocca e me la morsi per soffocare i miei rombanti e profondi gemiti di piacere. Rimasi immota per riprendere fiato. Sentendomi madida e con vestiti succinti mi preoccupai di non lasciare tracce del mio umidore sulle coperte. Sarebbe stato un bel guaio da giustificare per lei! Mi alzai stranita, ripresi i libri e la chiave della porta che mi aveva affidato. Nessun rumore proveniva dal bagno, sentivo solo un amabile parlottio provenire dall’alcova. Con passo leggero e occhi scintillanti raggiunsi il mio posto di osservazione e vidi che la scena era cambiata. Lui era ancora disteso e lei a pancia in giù sul letto si era presa in bocca il suo manganello, e lui le suggeriva come lei doveva comportarsi. Addussi che lei, quando lui ritenne di andare a lavarselo, lei consapevole della mia presenza e rischi collaterali si offrì di usare la sua boccuccia per asportargli ogni residuo della sua essenza, e lei non essendo particolarmente abile in materia si erudiva eseguendo i suggerimenti del docente. Quello era il momento in cui io avrei dovuto intervenire e lei, pur non avendo mai lanciato uno sguardo nella mia direzione, pur non avendo mai fatto un cenno di invito, ero certa che era in attesa della mia intrusione. Pensai che forse la stavo deludendo, ma proprio non mi sentii disponibile a quella scelta. Passarono i minuti, non tanti, quando potei scorgere il “bello addormentato” lentamente risorgere e rigonfiarsi di tutto il suo ardore tra le labbra di lei, che succosamente lo stava rianimando. Quando ebbe raggiunto l’apice della durezza lui prese dal comodino un'altra bustina, la aprì, tolse da dentro il contenuto e la porse a lei la quale si mise ad operare in proposito. La vidi appoggiarlo sulla punta e seguendo le indicazioni di lui, che lei fedelmente come una cucciola di cane ammaestrata espletò. Una esibizione da far sbalestrare i sensi. Il film continuò; vidi lui si portarsi al centrodel letto, proprio dove e come prima stava Dxxx. Lei gli si accavallò sopra e preso con una mano l’arnese tentò di infilarselo nella sua tana, ma era troppo lungo e dovette piegarlo in avanti, lei lo seguì, poi una volta appoggiatolo davanti al suo taglietto, retrocesse e la parte eccedente le si infilò dentro di lei,
si abbassò e tutto scomparve nel suo grembo. A quella scena anche il mio ventre sobbalzò, un prurito singolare stava insorgendo laggiù, in basso, un prudore continuo e fastidioso che non riuscivo a grattare via. Meditai sulla stranezza della mia situazione. Del perché si erano resi necessari tanti espedienti per compiere una incarico che qualunque ragazzo, qualsiasi uomo sarebbe stato entusiasta di consumare. Ma non era il momento di trovare la risposta. Li sentii gridare entrambi quando lei si mise a cavalcarlo traballandogli sopra come fa un garzone di stalla che doma uno stallone. Si alternava da un galoppo ad un trotto per giungere a una andatura più leggera, deliziosa, seducente e colma di cupidigia. Un’estasi per il mio animo. Qualsiasi mio pensiero innocente stava finendo, mi sentivo una cupido ignara nel giardino dell’eden, temevo di starle pagando un affitto. Poi mi persuasi, volli persuadermi che il mio sentimento fosse insinuato dalla mia invidia e dalla mia stessa rivalità che in quell’osceno scenario si era generato dentro di me. I suoi atteggiamenti lascivi espletati con sorprendente magia riaccesero i miei desideri spenti, un affresco che mi rigettò nella tanaglia della tensione e del desiderio. Le sue gambe cedettero al di lei sforzo prolungato e la monella si puntellò sul torace di lui e anche i suoi movimenti furono variati. Non era più un cavalcare da amazzone ma un movimento di spostamenti prima avanti e indietro e poi rotatori che coadiuvata dal peso del suo corpo se lo poteva gestire tutto dentro di lei: quello spettacolo mi causò un trasporto che presto non sarei più stata in grado di sopportare.
Al vedere quei due corpi , saldati, per cosi dire, l’uno all’altra sembrava che tra loro si operasse una fusione misteriosa, che fossero uniti in un naturale simbiosi. Lui, tenendola per i fianchi, le dava leggeri colpi indirizzati al suo ventre, come se volesse pomparle dentro il piacere e lei sembrava essere attenta ai progressi del delirio che le suscitava. Si fermavano o raddoppiavano il ritmo a seconda dell’appressarsi o dell’allontanarsi dell’orgasmo di lei. Sembrava essersi instaurata tra loro una insolita e profonda empatia, che le loro menti, che le loro anime si unissero in silenzio. Ma eccola mandare grida acute, la sua testa si raddrizza e poi ricade, lui la colpì con alcuni slanci furiosi, Ohh! UUhhh! Prendi. Prendii. Gridò lui; le membra di lei si torsero, le sue cosce divaricate si prestarono con sforzo bramoso a un ultimo attacco allo scettro che aveva tra le sue cosce e che la fece sobbalzare in ogni direzione.
La sua testa torno a guardare il soffitto e come una lupa che ulula alla luna urlò di un godimento carnale e delirante. Restò immota con la testa piegata all’indietro fino a quando ogni pulsione si spense, poi, come una preda colpita dal cacciatore si accasciò, abbattuta, inerme su di lui che l’abbraccio. A me restò di zumare su quel triangolo composto dai loro genitali ancora amalgamati: quel secondo atto sarebbe toccato a me. Avrei fatto in tempo a contare tutte le galline di mia mamma nell’aia dal tempo che lei impiegò per tornare dalla spossatezza. Fu lui che le scivolò da sotto e scese dal letto. Lei rimase in ginocchio, con la faccia adagiata sulle coperte: a vederla pareva che non si fosse ancora ripresa. Lui si accostò al letto mostrandomi il suo profilo. Non potei evitare di ammirare la sua potenza maschile, che per dimensioni si mostrava come il più generoso degli stalloni. Deglutii più volte a vuoto. Pensavo che fosse ormai finita, quando lui la prese per i fianchi ancora inginocchiata e la trascinò sul bordo del letto.
Lei si lasciava manipolare senza fiatare e senza reagire, sembrava ipnotizzata come una coniglietta in un circo. Messa di traverso aveva le ginocchia appena sul ciglio e la testa appoggiata sul letto girata su una guancia, la destra, io potevo scorgerne il viso. Lei gli mostrava ostentatamente il culetto e lui, da dietro le si avvicinò col l’arma spianata che puntava all’insù. Al vederlo mi parve volesse stabilire la giusta altezza dei suoi sfinteri e costatandoli troppo in alto rispetto alla sua canna le aprì per bene le gambe che, abbassandosi, lei raggiunse la giusta elevazione per poterla accogliere. Io stavo a guardare inorridita, mi vennero alla mente quelle foto porno che avevo scorto durante le vacanze. E se avesse l’intenzione di infilarglielo là! In quel posto proibito? Nooo! Non l’avrei sopportato! Alla puledra nooo!
Me ne sarei andata inorridita da quella casa sbattendo la porta imponendo a me stessa di non tornare mai più in quel luogo immondo. Ma, tra il dire e il fare c’è sempre stato di mezzo il mare, e io non sapevo nemmeno nuotare. Con l’ansia di chi attende un grande evento, tremavo nell’afflizione di conoscere l’esito di un grande evento non annunciato. Trattenni il respiro senza muovermi di un millimetro. Gonfia come un rospo le guance mi ardevano. Con le mani sui fianchi di lei, avvicinò la canna per infilarla, ma la traiettoria era rivolta verso il cielo e dovette con la mano sinistra abbassarle la mira. Quando fu in orizzontale rispetto il bersaglio la piazzò davanti all’orifizio, e dopo un solletico carezzevole di qualche secondo, la punta sparì dentro la sua cavità. La trattenne per i fianchi e diede una rapida spinta, lei emise un gemito e inarcò la schiena, ma divenne padrona di tutto quel membruto arnese. Il bacino di lui venne a contatto con le chiappe di lei. Non mi fu possibile arguire se l’avesse gomorrizzata. Nei giorni precedenti, durante le dissolute letture, non mi trattenni dalla curiosità e volli provare cosa si provasse a solleticare quel laido posto. Munita di un lampostil di circa un centimetro di diametro provai delicatamente a infilarmelo.
Non ci fu modo di farlo entrare, risoluta, provai a intingerlo nella crema alla vaselina e riprovai. Questa volta si introdusse al mio interno senza difficoltà, e dopo averne introdotto una decina di centimetri provai a muoverlo con un movimento ritmico. Scivolava fluido, ma io non provai nulla che valesse la pena di continuare, ma da quella prova ne dedussi che lì dentro non ci potesse entrare alcun oggetto se non ben lubrificato. Non avevo notato movimenti da indurmi a pensare che lui l’avesse lubrificata prima di infilarglielo per cui mi convinsi che, la poverina non ce l’avrebbe fatta a riceverlo “a secco” tutto d’un sol tratto tanto facilmente. Ma la persuasione non fu sufficiente a distendermi. Ero in uno stato tremendo, spaventoso. Provavo desideri orribili, mostruosi. Tutto quello che lei sentiva di dolore e di piacere avrei voluto sentirlo anch’io, come conseguenza al mio coinvolgimento avrei voluto gioire lì, subito con lei, insieme a lei! La testa mi ronzava. Con la ragione in scompiglio udii parole come +picchiami+. La pressione sanguigna mi salì pericolosamente quando lui si mise a percuoterla, le dava sonore sculacciate sulle chiappe e sulle cosce, prima sulla sinistra e poi sull’altra. Ben presto le divenne il culetto di un bel colore roseo, un incanto nel vederla e al sentirla singhiozzare. Non sarebbero bastati tutti i petali delle margherite che mia madre coltivava in giardino per annoverare tutti i colpi che lui le inflisse e le sculacciate che le infierì, da lei non vi fu nessuna reazione: subì, docile eubbidiente come una cagnolina.
In uno scompiglio mentale pensai che alla prima occasione quel supplizio glielo avrei fatto riprovare, magari con una frusta. Lo vidi compiere un gesto che mi allibì. Si posò il pollice della mano sinistra sopra al suo randello che già aveva dentro di lei, indi, li mise ammollo entrambi. Lei emise un piccolo grido, un lamento sottile, come quello di un animaletto preso in trappola. I fatti si susseguirono con una foga inenarrabile. Dopo averle sfilato il pollice dalla tana salì sul letto con il ginocchio destro, si adagiò sul corpo di lei e le raggiunse la bocca. Vidi chiaramente infilarle il pollice in bocca e le disse: gusta il sapore del tuo sesso. Porca: aggiunsi, tra me e me. (continua4
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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